IL PALCOSCENICO – il mondo fisico e il mondo digitale
Per guardare ai possibili punti di incontro e per valutare pro e contro di un’eventuale convivenza tra progetti di sponsorship e di influencer marketing dobbiamo prima di tutto guardare al punto di partenza di queste due realtà.
L’atleta ha base nel mondo fisico, che è anche il suo primo palcoscenico: un campo da calcio, da tennis, basket, volley, una montagna, un deserto, una strada asfaltata; la sua attività è caratterizzata da interazioni con altre persone: rivali, compagni di squadra, un entourage tecnico. E proprio in questo mondo fisico l’atleta si muove, matura una riconoscibilità, compie un percorso, ottiene dei riconoscimenti, misura il suo valore, e costruisce e sviluppa il suo storytelling.
L’influencer compie i suoi primi passi a partire da un mondo digitale, che è il suo palcoscenico, in questo contesto il mondo fisico diventa di fatto solo una “scenografia” e uno sfondo su cui costruire una narrazione, ma la sua storia, il suo valore, il suo storytelling vengono strutturati nel mondo digitale e rispondono alle sue dinamiche.
Un atleta ha il suo primo riconoscimento quando la sua performance viene misurata e valutata nel mondo fisico e, di conseguenza, può decidere di utilizzare questa sua riconoscibilità nella comunicazione del mondo digitale.
Un influencer invece costruisce la sua riconoscibilità interamente nel mondo digitale.
ESSERE E PARLARE – comunicare nel mondo digitale
Per intraprendere la carriera di influencer come abbiamo detto la prima e fondamentale cosa da fare è costruire un’identità nel mondo digitale. Un influencer deve innanzitutto scegliere un ambito in cui agire – nel caso dello sport magari una disciplina – e ciò a cui deve mirare è attrarre e far crescere una community attorno a sé che vuole appartenere a quel mondo, vuole saperne sempre di più e decide che quel influencer specifico è il suo punto di riferimento in quell’ambito. Questa cruciale scelta può essere determinata da motivi diversi: senso estetico? Contenuti di rilievo? Coerenza nel contesto ambiente? Amicizie o conoscenze celebri esposte? O altri elementi che esercitano un’attrattiva.
L’influencer che riesce ad avere una community targetizzata nel mondo outdoor –dal trekking, ai primi passi nel climbing, all’esplorazione della foresta pluviale… – non deve eccellere in quello che fa, non deve necessariamente aver fatto un lungo percorso in quell’ambito, avere una storia di successi.
È “sufficiente” che si accrediti in quel mondo attraverso le immagini – video e foto – che lo collocano dove la sua community a un certo punto “pretende” sia.
Un influencer esiste perché esiste un palcoscenico digitale che ha scenografie, sceneggiature, co-protagonisti e comparse coerenti con il mondo che l’influencer costruisce attorno a sé. Non servono nemmeno copy strutturati, bastano didascalie costruite a partire dai messaggi che si sceglie di mandare.
L’obiettivo su cui si valuta il successo o l’insuccesso per un influencer ha a che fare con numeri e percentuali: follower, views, engagement.
Per diventare un atleta professionista la prima cosa che si deve costruire e custodire è un sogno, meglio se di lunga durata. Senza un sogno le possibilità di diventare un atleta professionista sono ZERO. Perché solo la forza che è in grado di darci un sogno può sostenere un atleta mentre attraversa la fatica, i sacrifici e i fallimenti.
Volendo essere più precisi ciò che crea un atleta professionista è un sogno trasformato in un obiettivo, che cresce insieme a lui. Un obiettivo che deve essere sempre misurabile nella realtà.
Il campo d’azione di un atleta è sempre reale e misurabile, che sia la pista di atletica, il campo di calcio, il rettangolo rosso… Perfino gli atleti che non hanno un campo d’azione ben definito, non hanno delle regole scritte da una federazione, non hanno una federazione, comunque devono riuscire a trasformare gli obiettivi e i campi in qualcosa di misurabile: per esempio gli alpinisti hanno la vetta fatta di metri e della storia delle salite a quella vetta. Un altro strumento di misura nella realtà è poi rappresentato dagli “avversari” e dai competitor.
Arrivati a questo punto risulta evidente la principale differenza tra un atleta professionista che comunica se stesso anche nel mondo digitale e un influencer sportivo.
Un atleta può decidere di sfruttare la sua storia, il suo background e lo storytelling costruito in anni di obiettivi misurati e raggiunti nel mondo reale per parlare anche al mondo digitale.
Quindi un atleta può prestarsi all’influencer marketing, MA un influencer non sarà mai un atleta.
Esiste comunque una via di mezzo tra le due categorie, anzi due:
- L’atleta che è già a un buon punto della sua carriera ma non ha portato a casa grandi successi, in quel caso il palcoscenico digitale può diventare lo spazio/tempo attraverso cui capitalizzare una vita dedicata a uno sport;
- Atleti non professionisti che hanno coltivato un sogno o una passione sportiva in parallelo a una vita “normale” al di fuori dello sport. Il fatto di aver comunque dedicato tutto il loro tempo libero al loro sport-passione può farli diventare dei punti di riferimento per una determinata community nel momento in cui decidono di condividere sul palcoscenico digitale le loro esperienze e le conoscenze acquisite.
L’AUDIENCE – con chi stiamo comunicando
“A ognuno il proprio pubblico.”
Questo statement è sufficiente a mettere in pace le coscienze e a farci credere che sia tutto semplice?
No.
Anzi, è un’affermazione che dovrebbe spingerci a cercare di capire ancora meglio chi è l’audience. E non solo in termini di target perché oggi i numeri sono molto più “impastati” di qualche tempo fa. Se vogliamo comunicare in maniera efficace nel mondo digitale dobbiamo guardare a tutti: monitorare le tendenze dei target più giovani, vulnerabili e dinamici per cercare di prevederne la prossima mossa e allo stesso tempo fare attenzione a dove e a come si muovono quelli con il portafoglio (che ricordo che in Italia sono sempre i più vecchi, il mito del trentenne milionario rimane USA).
Quello che voglio dire è che ragionare in termini “onesti” sul ruolo e sull’importanza dell’audience significa anche lasciare andare l’atteggiamento snobistico di chi la sa lunga su come funziona il mondo digitale (alla fine comanda sempre il portafoglio).
Al di là della targetizzazione (più o meno scrupolosa) una delle cose su cui dobbiamo concentrare un po’ della nostra attenzione sono i comportamenti trasversali che hanno un impatto sociologico, filosofico, psicologico, antropologico… e da questi si genera la domanda più importante che detta legge sul palcoscenico digitale:
Come vengono fruiti i contenuti? A cosa si è arrivati?
A velocità di fruizione, poca attenzione dedicata, zero approfondimento, generazione di opinioni non necessariamente basata sui fatti ma su altre opinioni che dominano grazie alla SEO, zero cultura dell’argomento, e linguaggio visivo e testuale che si adattano a questa logica.
Seppur ammetto che questa sia la cosa che più mi spaventa visto che vengo dal credo “la parola forma il pensiero e il pensiero forma il comportamento”, in questo contesto mi interessa semplicemente far presente che noi operatori siamo tutti portati a rispettare il volere dell’audience, soprattutto dell’audience pagante.
Questo significa che la distinzione tra influencer e atleti (e le sfumature di grigio in mezzo) sul piano della comunicazione non è così facile da far emergere.
E attenzione questo non significa che la soluzione è lavarsene le mani, questa consapevolezza deve soprattutto ricordarci che è molto importante essere vigili, essere onesti, essere rispettosi, essere leali, verso il proprio pubblico, verso il proprio cliente. Dei valori ancora validi oltre il confine generazionale dei baby boomer.